Carnevale di Mondovì
(Carlevé di Mondovì)
Il Moro incontra Papà del Gnocco
Gemellaggio d’eccellenza carnascialesca tra Mondovì e Verona
Tra il 24 gennaio e il 26 febbraio varie iniziative animeranno la Città di Mondovì per l’edizione 2016 del “Carlevé di Mondovì”. La fastosa multimanifestazione, che annovera storia e tradizione dell’intero territorio monregalese, va in scena ogni anno dal 1949 quando nacque la Famija Monregaleisa con l’intento di risollevare la Città attraverso le manifestazioni: prima fra tutte il Carlevé di Mondovì del 1950.
Una storia carnascialesca che affonda e consolida le proprie radici di anno in anno, grazie a preziosi ‘gemellaggi’ con altre maschere della tradizione italiana e non. In alcune iniziative, accanto al tradizionale “Moro” monregalese è attesa infatti la partecipazione di un personaggio particolarmente evocativo delle tradizioni carnevalesche di un’altra città. Nell’edizione 2015 fu la volta della maschera ufficiale della Città di Parma: lo Dsèvod. Il 2016, invece, sarà l’anno del Papà del Gnocco, maschera ufficiale della Città di Verona.
Risalente al tardo medioevo, il Carnevale di Verona (il nome originale è Bacanál del Gnoco) affonda le sue radici ai tempi di Tomaso Vico, medico del XVI secolo che lasciò nel suo legato
testamentario l’obbligo di distribuire annualmente alla popolazione del quartiere di San Zeno viveri ed alimenti. La maschera, che in dialetto viene denominata “Papà del Gnoco”, nasce proprio in San Zeno nel 1531, ed è considerata la maschera più antica d’Italia.
È il vero e proprio Re del Carnevale Veronese che sfila anche in moltissimi carnevali della Provincia. Il Venerdi Gnocolàr è il ‘suo’ giorno, quando guida la sfilata allegorica del capoluogo scaligero. Il Papà del Gnoco viene rappresentato come un uomo anziano, rubicondo e con una lunga barba bianca, vestito di broccato nocciola e mantello, con una tuba rossa a cui sono attaccati dei sonagli. Poiché è considerato il re del Bacanal del Gnoco,
ha come scettro una grande forchetta dorata, in cui è infilzato uno gnocco di patata. Si muove a cavallo di una mula (gli gnocchi vengono tradizionalmente mangiati conditi con la pastissada, o stracotto di cavallo). Durante la sfilata, assieme ai suoi servitori (i gobeti o “macaroni”) dispensa caramelle per i bambini e porzioni di gnocchi per gli adulti.
Ma la vera e propria particolarità del Papà del Gnoco è che… viene eletto!
LE ELEZIONI
Ci vuole prima l’idea e poi il coraggio di metterla in pratica, perché per fare il Papà del Gnoco occorre tanto coraggio. Le procedure per la campagna elettorale sono abbastanza tipiche e assomigliano a quelle più o meno serie dei nostri politici. Innanzitutto il candidato si forma il clan, in cui il capo è un presidente, c’è un segretario, un economo e una cerchia ristretta di galoppini (fidati). Il candidato si sceglie quindi una sede (bar del rione) e incarica il presidente di presentare la candidatura entro “il tal giorno e tal ora” al notaro della contrada. Un mese prima delle elezioni. Il notaro, scaduto il termine del giorno e dell’ora, si limita a dire che le domande saranno vagliate del Senato composto solo da ex Papà del Gnoco. Dopo il vaglio e conseguente delibera del Senato, se le candidature vengono accolte.
Inizia la campagna elettorale vera e propria ovvero la caccia ai voti senza esclusione di colpi.
La strategia iniziale è il pianto: bisogna far credere all’avversario di essere in pochi e poco organizzati. Questo induce il concorrente a prendere alla leggera la campagna elettorale con ovvi risultati.
Subito dopo i manifesti, i galoppini, facce toste come pochi, spacciandosi per alleati contattano l’avversario per capire le strategie. Individuata la tattica e le direzioni che l’avversario prenderà, si parte alla ricerca di alleati in altri comitati.
E arriva il giorno delle elezioni e si sparano gli ultimi “colpi”. Dopo la chiusura dei seggi, i candidati vanno in ritiro per attendere il responso delle urne: il luogo prescelto è segreto e fidato, conosciuto solo da un galoppino che rimane in piazza per raccogliere le notizie e comunicarle al suo candidato. Verso tardo pomeriggio viene nominato il nuovo Papà del Gnoco.
L’ABBIGLIAMENTO DEL PAPA’ DEL GNOCCO
Per indossarlo occorre almeno una mezz’ora e il rito richiede l’aiuto di un cerimoniere: vestire i panni di Sire del carnevale è davvero una cosa seria, non solo in senso metaforico. Quando vediamo sfilare il Papà del Gnoco, sgargiante nell’abito che alterna avorio e rosso, con il cappellone in testa e la forchetta con gnocco in pugno, pieno di trine e merletti, non immaginiamo nemmeno la cura e della ricchezza di particolari (tutti hanno un preciso significato) che questa veste possiede.
LA TAGLIA da non credere: si va dal 54 per i “magri” che non superano gli 80 chili al 64 per i Papà che di gnocchi ne hanno mangiati parecchi e arrivano ai 110 chili: le più usate sono proprio le taglie forti. Più “usate” perché va detto subito che nella sede del Bacanal a Porta San Zeno sono custoditi ben otto abiti da sire, fatti confezionare a Milano alla casa d’arte Fiore.
Quando infatti un candidato viene eletto Sire, o se lo fa fare da un sarto (Dora di vicolo Terese, qui a Verona, ne ha cuciti più d’uno), oppure non diventa “proprietario“ del vestito. Lo indossa direttamente per le manifestazioni nella sede del Bacanal e poi lo ripone li alla fine della festa.
IL CAPPELLO si tratta di un abito complesso da realizzare. Con molti riferimenti allegorici.
Partiamo per esempio dal cappello, che ha quella strana forma come di un gazebo coloratissimo, da cui scendono perline e pizzi di ogni tipo, con l’immancabile orlo dorato: raffigura infatti il palco che in passato veniva allestito in piazza San Zeno e dal quale venivano distribuiti alla popolazione gli gnocchi. Il Presidente Ginetto D’Agostino si ricorda di averlo visto l’ultima volta nel ’45.
LO SCETTRO poi c’é lo scettro: un “piron col Gnoco”, come si dice in dialetto, cioé una forchetta che simboleggia evidentemente la distribuzione degli gnocchi voluta da Tommaso Da Vico. E anche qui, a commento, c’é il vecchio proverbio: “Porta Gnoco sul piron, sempre alegro mai pasion”.
IL PANCIOTTO passiamo all’abito vero e proprio, tutto giocato sui toni dell’avorio e del rosso: davanti, sopra il cuscino che fa la pancia dell’abbondanza anche ai candidati più snelli, c’é il panciotto con i bottoni dorati, che sotto la gola si chiude con un foulard, mentre tutti gli orli sia della giacca che dei calzoni terminano con uno sfarzoso pizzo e con sonanti campanelli: 12 per ciascuna gamba e altrettanti sul fondo della giacca.
IL MANTELLO Sulla schiena l’abito ha un’imbottitura a forma di gnocco che sporge dal vestito ed esce anche dal grande mantello rosso di pannolenci foderato di raso bianco, che infatti ha un taglio apposito a quell’altezza.
LE SCARPE le calzature sono bianche, di pelle, fregiate con due pon pon di lana rossi.
LA BARBA é fatta in lana di bufala, ogni volta può essere lavata e pettinata. La parrucca é invece confezionata dallo storico negozio di corso Porta Borsari.
Cambiano i tempi, si aggiornano i costumi. Certo é che il valore dell’abito da Sire é proprio degno di un Re: il Sire del carnevale Veronese che, quest’anno, sbarcherà anche nel Monregalese per incontrare il Moro.